Open Source e Pubblica Amministrazione….Pubblica?

“Buonasera, sono Andrea Stani uno studente del corso di laurea specialistica in Ingegneria Informatica per la Gestione D’Azienda”.
Più o meno è così che mi sono presentato al momento in cui ho voluto prendere il microfono per porre qualche punto di domanda durante la tavola rotonda ma facciamo un passo indietro.
24 ottobre 2005, è il Linux Day anche a Pisa ed avendo poco tempo a disposizione per me stesso di recente, decido di dedicare tutto il pomeriggio al Linux Day, ovvero a me stesso.

Una volta arrivato, devo scegliere quale delle tre tracce seguire, si percepisce come è solito la passione di chi organizza questi eventi ed è una bella sensazione.
Il primo talk che scelgo di seguire è entry level e nemmeno tanto; il titolo è “Linux e biciclette: la filosofia del software libero” tenuta da Giovanni Mascellani.

Durante l’ascolto mi rendo conto che manca qualcosa e lo faccio presente con un intervento, ci sono persone di circa cinquanta anni che vorrebbero sapere tante cose da help desk (l’hanno perso in mattinata perchè il gulp di Pisa si è impegnato anche in questo) ma la cosa più importante che non riescono a esprimere secondo me è: “perché fino ad ora non è arrivato altro sul computer di casa mia, se non windows, visto che linux è così figo come raccontate???”.

Non che non lo sappiano di già, ma sono storditi dalle troppe informazioni e magari non hanno tempo per pensarci.

Forse basterebbe citare loro qualche sentenza della commissione europea dell’antitrust per calmare i loro animi e accendere l’interesse ancora di più; certo non è facile un talk così in venti minuti e con di fronte anche un bimbo di circa dieci anni con i suoi genitori.
Seguo altri due talk, il primo intitolato “Facciamo Ubuntu” parla della comunità di Ubuntu e su come partecipare, tenuto da Jeremie Tamburini.
Il tono ed il contenuto sembrano molto caratterizzati da un senso di partecipazione che può fortunatamente essere concreto a dispetto di quel che avviene in altre realtà.
Benissimo condivido tutto.
Altro talk su PostgreSql e le sue caratteristiche interessanti per il business. Devo finire l’esame di architetture e linee di evoluzione delle Basi di dati per poter comprendere tutto, ma in buona parte riesco ad intendere il significato o quanto meno l’importanza di quel che dice Federico Campoli che tiene questo talk.
Quando si confrontano le implementazioni di alcune funzionalità di PostgreSql e Oracle Db non è poi così semplice a meno d’essere un esperto.

E’ venuta l’ora del coffee break, gnaaaammmm che buono.
Si riparte subito, altro talk, un ragazzo racconta la sua tesi su di un sistema per la dematerializzazione dei documenti di una azienda, sia esse pubblica o privata, in osservanza alla normativa italiana; si pone anche attenzione a quanto la normativa tenga alla trasmissione della forma che nell’informatica spesso non trova significato visto che si dissocia dai dati.
Purtroppo anche questa tesi è parcheggiata per mancanza di fondi pubblici e si va avanti a stampare carta.
Finalmente arriva la tavola rotonda. Il tema della tavola rotonda è “Open source, una ricchezza per il business?“.
Saltando a piedi uniti che bisognerebbe approfondire il significato di ricchezza e dell’etica con la quale questo business viene effettuato (il pomeriggio si è aperto parlando di filosofia e open source, non vorremmo certo si finisse per scordare la filosofia per strada), nascono in me delle domande che pongo e a cui ricevo delle risposte belle da parte degli ospiti ed, a mio parere a volte un pò lontane dall’aspetto che in quel momento forse mi ero ostinato a voler vedere.

Non posso citare gli ospiti perchè non ho memoria dei nomi e non li trovo sulla pagina dell’evento.
I miei quesiti sono stati questi che ripropongo ora su questo blog.
Durante gli studi, capita di incontrare persone che manifestano il loro dissenso nei confronti di un business basato sulla filosofia dell’open source.
Spesso però la struttura di alcuni Sistemi Informativi offerti da aziende importanti multinazionali che trattiamo prevedono l’utilizzo di componenti open.
La domanda mal posta in quel momento e che tutt’ora ho fatica a formalizzare è…chi è il nemico di un business basato sull’open?
L’utilizzo di strumenti open nel business è per me foriero di progresso, filosofia nel significato proprio del termine ovvero amico della conoscenza; dovremmo operare nel terziario ovvero produrre servizi ovvero lavorare per produrre reddito.

Uno dei più grandi costi di una migrazione è quello che l’azienda sostiene per la formazione, che tra l’altro genera occupazione territoriale a meno di strumenti di e-learning aziendali, almeno credo sia cosi, non sono un esperto.
Tanti appalti vengono dalle aziende pubbliche e la mia volontà è quella di esprimere preoccupazione per gli investimenti fatti in tali aziende in caso di migrazioni e nel caso queste diventino, in un domani prossimo, poco pubbliche; non vengo fuori dal nulla con queste idee, tra gli ospiti c’è gente che esprime la propria esperienza di migrazione positiva nel mondo dell’università pubblica che purtroppo sembra non essere in buone acque di recente.

Per quanto concerne l’università vi suggerisco la lettura dell’articolo 16 ed in particolare il comma 2 della legge 6 agosto 2008, n.133 a proposito dell’assunzione dei diritti patrimoniali da parte delle eventuali fondazioni private.

Altro caso di azienda pubblica quind PA in senso soggettivo? Alitalia.

Andiamo a vedere i costi della privatizzazione Alitalia in termini di personale qualificato perso, e vediamoli come proposti da un articolo intitolato “I Prezzi del Rilancio” di Gianni Dragoni per il Sole 24 Ore, il giornale di confindustria che mi appare ben lontano dall’estrema sinistra (scusate il riferimento politico ma serve a dare un senso).

In una Italia poi in proiezione federalismo le autonomie e seguenti privatizzazioni, diciamo che a naso me le immagino in aumento.

Posto che importante è l’ideale su cui si basa la filosofia open source, la mia domanda è stata: in una situazione nazionale in cui si sta cercando, in positivo, di portare l’open source nella Pubblica Amministrazione ed in cui contemporaneamente si assiste ad una privatizzazione discutibile delle aziende pubbliche, quanto è giusto non tenere in considerazione certi meccanismi e avvenimenti recenti?

Sono diversi i casi di privatizzazione italiane in cui personale esperto impiegato nelle aziende pubbliche è stato regalato.
La prassi per le aziende pubbliche italiane sembra essere sempre la stessa, si rendono le aziende autonome, si gonfiano di spese e di assunzioni spacciate per ottime politiche occupazionali, fino a farle fallire e poi svenderle.

Mi chiedo quindi perché mi dovrei augurare che tante belle iniziative che puntano a portare la filosofia open nella Pa vadano in porto. Coloro che collaborano con passione per questo modo di pensare il software si sentirebbero in tal caso fieri di una partecipazione che ha anche uno sfondo culturale. Ma in caso di svendite? Ed oltre il danno al senso di partecipazione la beffa di un probabile ennesimo regalo di attività pubbliche costruite con i soldi dei contribuenti.
Senza porre soluzioni a problemi più grandi di gestione dell’interesse pubblico mi sembra solo che si spostino soldi in direzione diversa in base al colore della bandiera oltre che di un migliore investimento è chiaro.

Naturalmente è fuori discussione la liceità con cui si devono svolgere le gare di appalto.

Spendere nel formare personale di enti pubblici che sono sotto la mira del fucile della privatizzazione del governo di turno, è cosa giusta se non ci si garantisce che pubblici rimangano???

Le mie domande così poste hanno infatti scaturito l’intervento di un paio di persone tra cui una che ha affermato all’incirca, che per quanto si possa evitare l’argomento si finisce sempre per parlare di etica aziendale e “cosa comune”.

Belle le risposte che ho ricevuto da alcuni ospiti che si sono riferiti al significato vero di formazione che è diverso dalla trasmissione della conoscenza delle procedure.

Un docente di ingegneria presente mi ha fatto notare che camminare nei corridoi di una università non presuppone per forza che non si possa incontrare gente ignorante.

Un ragazzo mi ha giustamente fatto notare che anche per sistemi non open la formazione va fatta al che io ho replicato che purtroppo l’università si è data al commercio dell’ECDL coprendo buona parte della “formazione” delle prossime generazioni in termini di uso di un sistema operativo e strumenti di office automation.

Mi ha fatto anche notare che con una recente sentenza (ora non ho cercato la fonte perdonatemi) esiste la possibilità di certificarsi con sistemi open. Ecco peccato che non lo sa nessuno e gli universitari che non siano legati al ramo dell’informazione sanno a memoria i menu dei prodotti di certi marchi noti.

E’ semplicemente scandaloso, le prossime generzioni sono deFormate e tocca migrare la “formazione”.

Sperando di non essere mal interpretato ogni commento è ben accetto.

Saluti,

Andrea Stani

p. s. mi scuso in anticipo per ogni eventuale errore ma non ho avuto troppo tempo per rileggermi, spero che il contenuto  sia comunque percepibile.

Ringrazio mio fratello per l’ospitalità sul suo blog. :-)

PloneGov a Ferrara, software libero e Pubblica Amministrazione

Se questo settembre pensate di farvi un giro a Ferrara, anche se vi consiglio di andarci in questo periodo per il Ferrara Buskers Festival, allora vi consiglio di passarci il 16 Settembre poichè si terrà l’incontro PloneGov.

L’incontro è a partecipazione gratuita e si protae per la sola mattinata il tutto a cura della Camera di Commercio di Ferrara con ZeaPartners.

Un saluto a tutti!